Appunti della lezione
a cura di Ludovico Posa e Alessandro Rando
Ricollegandoci al discorso della scorsa lezione, consideriamo il classico elemento quadrilatero isoparametrico a 4 nodi:
QUesto elemento occupa un volume e il moto dei punti appartenenti a quel volume può essere definito come la composizone di stati di moto elementari che posso rappresentare in tal modo:
dove il vettore u è il vettore spostamento puntuale entro il volume dV, “de” sono i gradi di libertà propri dello specifico elemento. La matrice S è definita a colonne costituite dalle componenti di spostamento ũi, ṽi, w̃i ( dove il pedice i la specifica colonna ) che sono in funzione delle variabili ξ, η, z. [ Il numero di colonne è pari al numero dei gradi di libertà dell'elemento per cui il pedice i è associato all'i_esimo grado di libertà ]. Come è definito questo moto elementare? intanto, c'è ne uno ogni grado di libertà ( ovvero uno ogni colonna della matrice) ed è sostanzialmente una funzione in tre componenti vettore interna a quell'elemento. Se voglio dare un senso fisico alla generica colonna di tale matrice S posso rifarmi a un modello Marc. Questo è un modello didattico che viene usato per andare ad analizzare il campo di moto entro l'elemento piastra, implementa più o meno tutte le cinematiche di interpolazione e di legame tra piano di riferimento e fuori piano di riferimento proprio della piastra e dell'isoparametrico 4 nodi.
Di fatto è un elemento piastra ( quello rosa “barbie” in figura ) isoparametrico che se è plottato con il suo spessore, spazia da top a botton ( le superfici rosa salmone ) su tutta la struttura. Per monitorare meglio il moto del materiale che è associato a questo elemento,abbiamo aggiunto due cose: 1. Nodi all'interno dell'elemento ( rosa barbie).
Infatti in questo elemento, oltre ai 4 nodi ai vertici, ci sono dei nodi aggiunti all'interno dell'elemento ( che non siano estremali) il cui moto è definito dalle funzioni di interpolazione proprie dell'isoparametrico 4 nodi. 2. Inserts ( Main menù → links → inserts )
Con inserts fondamentalmente quello che si fa è definire un set di elementi di entità ospitanti, “ Host Entities”, ( in particolare nel nostro caso solo l'elemento rosa “ Barbie ”) e un set di elementi ospitati, “ Embended Entities ” sono dei nodi ( nel nostro caso ) ovvero i 21 nodi interni che non sono quelli di vertice. Quindi sostanzilamente definisco un elemento ospite e dei nodi ospitati, quando si va a lanciare la simulazione, il programma andrà a cercare su quale elementi insistono i nodi ospitati e andrà a ricavare ( tramite trasformazioni inverse ) per ogni nodo ospitato una coppia di coordinate isoparametriche per cui definire i pesi di interpolazione per definire il moto dell'ospitato in funzione dei gradi di libertà indipendenti dell'ospitante. Quindi i gradi di libertà dell'elemento Host sono indipendenti mentre i gradi di libertà dei nodi Embendded sono dipendenti e devono seguire la funzione di interpolazione degli elementi Host a cui sono agganciati.
Così ho definito tutti i moti dei punti che appartengono al piano medio rispetto ai moti di vertice. Adesso, per implementare la cinematica di corpo rigido sono stati inoltre costruiti dei collegamenti rigidi ( RBE2 ) da un nodo interno sul piano di riferimento che va dal top fino al botton. In questa maniera, quindi, sul top e sul botton è come se ci fosse una membrana infinitesima che non aggiunge rigidezza alla struttura, semplicemente permette di vedere come si muove il top e come si muove il botton in maniera abbastanza realistica.
A questo punto, una volta definita tutta la cinematica interna all'elemento, passiamo al dare degli spostamenti imposti ai nodi dell'elemento ( che rimanevano indipendenti, ovvero quelli ai vertici ). In questo caso diamo a tutti i nodi spostamenti nulli su tutti i gradi di libertà tranne al nodo 2 in cui diamo uno spostamento non nullo di entità unitaria sulla rotazione y. Quindi questo è l'unico gradi di libertà non nullo dato nel vettore “ de ” ( visto precedentemente nella relazione ) nella configurazione specifica.
Ovviamente, ricordiamo, il vettore de è semplicemete la somma di tutti i gradi di libertà propri dello specifico elemento ( 20 o 24 con drilling ). L'unico non nullo, in questo caso, è la rotazione in direzione y φ del nodo 2 che vale 1. A questo punto lanciamo il calcolo e guardiamo la deformata :
Questa deformata prevede uno spostamento in x nullo al piano di riferimento, un campo di spostamenti in direzione x non nullo al top e al botton con segni opposti tra top e botton ( ovviamente i punti lungo l'elemento che sono intermedi tra top e botton hanno spostamento lineramente variato). Quindi la funzione ũi ( che fa parte della generica colonna della matrice S associata al grado di libertà φn2 vista precedentemente ) può essere rappresentata dalla mappa colorata che si vede nella figura in alto. Andiamo adesso a vedere il ṽi :
notiamo che è relativamente nullo. Stessa cosa possiamo notare per w̃ che risulta anche esso nullo.
Quindi tutto ciò è stato fatto semplicemente per dare un senso fisico alle colonne della matrice S per un caso specifico. Provando a variare i gradi di libertà unitari possiamo ottenere con questo metodo tutte le colonne della matrice S.
Tornando al discorso precedente
Supponiamo ora, che si ha delle azioni $\underline{q}$ :
Per ogni volume infinitesimo dV dentro il mio materiale si ha dall'esterno un'azione distribuita qxdV in direzione x , qydV in direzione y e qzdV in direzione z. Queste azioni saranno funzione di x,y,z. Considero ora uno spostamento qualunque della configurazione dalla sua deformata de di riferimento che perturbo con un δde virtuale che mi da un campo di spostamenti virtuali entro l'elemento δ$\underline{u}$ che deve essere compatibile con i vincoli. Qual è il lavoro che quelle azioni esterne compiono su quegli spostamenti virtuali ? Il lavoro infinitesimo sul volume infinitesimo sarà :
da cui il lavoro virtuale delle azioni distribuite si può ottenere integrando sul volume ( scrivendo la relazione precedente in forma compatta) :
l'integrazione sul volume si farà campionando sui punti di integrazione ( proprio come abbiamo fatto per la matrice di rigidezza ) facendo la somma pesata dei campionamenti dell'integrando sui punti di integrazione. Quindi per esempio la funzione qx verrà campionata semplicemente alle seguenti coordinate :
la posizione zi sarà uno dei punti di campionamento lungo lo spessore, se per esempio lavoro con più layer si userà la regola di Simpson su ogni layer. In realtà non è molto importante se le componenti di q sono definite in funzione dlle coordinate fisiche o isoparametriche tanto alla fine le campiono sempre ai 4 punti di Gauss per layer. Questo era per un generci spostamento virtuale.
Finora abbiamo fatto l'equilibrio a livello globale di struttura su forze nodali ( senza nessuna azione distribuita ma solo azioni concentrate ), adesso ci sarà un meccanismo di riduzione di azioni distribuite sull'elemento ad azioni concentrate. Prima di andare avanti andiamo a sostituire nell'integrale triplo:
dove δde, la controparte virtuale di de dello spechifico elemento, non varia punto per punto sull'elemento ( come invece fanno $\underline{q}$ ed $\underline{\underline{S}}$ ), quindi lo posso portare fuori dall'integrale a post moltiplicare. Suppongo un ipotetico equivalente concentrato delle azioni distribuite. Per esempio, come in figura in basso, ci sarà una forza W associata al nodo 1 che è una forza in direzione z applicata al nodo 1, una rotazione in x Θ ecc.. . Cioè c'è un'azione che compie lavoro su ogni grado di libertà dell'elemento.
Quindi ho definito ( come si può notare nella foto in alto) un vettore $\underline{F}^{c}$e di elemento ( dove l'apice c sta per concentrato ) definito da tutte le forze nodali, ognuno delle quali è un azione concentrata su un grado di libertà. Il lavoro virtuale di queste azioni concentrate è uguale a :
dove le componenti di $\underline{F}^{c}$e sono tutte incognite.
Impongo adesso che il lavoro virtuale delle azioni concentrate devono risultare equivalenti al lavoro virtuale delle azioni distribuite per ogni possibile spostamento virtuale δde :
$\delta L^{c}=\delta L^{d}$ $\forall \delta d_{e}$
Da cui risulta :
Diciamo che la riduzione delle azioni esterne da distribuite a concentrate sarà semplicemente pari al lavoro compiuto su ogni possibile movimento. Si può immaginare il caso descritto dalla figura in basso :
Nel caso uno in figura siamo in presenza di un'azione distribuita, invece nel secondo caso siamo in presenza di' un'azione concentrata equivalente in un estremo, in modo che il momento risultante al fulcro sia lo stesso. Se stiamo monitorando il grado di libertà spostamento del nodo all'estremo l'azione concentrata sarà una forza ( come nel caso in figura), se invece stessimo monitorando il grado di libertà rotazione di quel nodo, ci sarebbe, invece una coppia al posto della forza concentrata. La natura delle azioni concentrate va di pari passo con la natura dei gradi di libertà. I due casi in figura sono equivalenti perchè la differenza non si vede in quanto la trave è un elemente cinematico rigido, se la trave fosse un elemento deformabile ci sarebbe una differenza tra i due comportamenti. Stessa cosa faccio per le forze di superficie vedi figura in basso.
Se al lato Top si applica una forza distribuita Pz, Px e Py la procedura sarà la stessa però al posto dell'integrale sul volume avremo un integrale sulla superficie:
Questo integrale non lo farò più scorrendo tra i layer ma lo svolgerò sui quattro punti di Gauss al top layer.
Magari si potrebbe ricavare le forze nodali in maniera più immediata rispetto al calcolo dell'integrale. In effetti c'è una forma approssimata della riduzione da carico distribuito a carico nodale equivalente che mi permette con pochi calcoli di farlo. QUesta forma approssimata è la riduzione da azioni distribuite ad azione nodali mediante il concetto di aree di influenza. Posso utilizzare la seguente procedura :
Prendo il mio elemento isoparametrico a 4 nodi, divido il piano di riferimento in quattro porzioni uguali ( come in figura sopra) congiungendo i punti di centro lato tra di loro. Considero l'area in rosso associata al nodo 3 e la chiamo an3 ( così posso fare per le altre aeree rimanenti). Poi per estensione, tuttò ciò che si estende in z al di sopra di quest'area diventa un volume associato al nodo 3 ( come in figura ).
P.s. Questa procedura di divisione delle aree di influenza dei nodi, non è facile se dovessimo avere dei nodi a centro lato.
Come faccio a passare, su quelle aree di influenza, dai carichi distribuiti a delle azioni nodali?
Considero una pressione distribuita che agisce sul volume di infuenza associato al nodo 3, e vado a calcolare la risultante ( o il momento risultante ) , che in questo caso è una forza in direzione z, di entità pari a “ an3 * P ” [ N ] . Tale risultante la suppongo applicata in maniera concentrata al nodo 3. In teoria dovrei anche considerare delle coppie trasporto date dal fatto che la risultante di queste azioni non passa per il nodo 3 ma ha dei bracci rispetto al nodo 3, però queste coppie trasporto vengono evitate visto che stiamo considerando una forma approssimata.
Se considero l'area totale dell'elemento e applico una pressione distribuita su di esso, la risultante delle azioni distribuite finisce su ogni nodo pari “ P/4 * a ” ( come in figura in basso )
Se il caricamento è uniforme non c'è errore, l'errore c'è se applico un caricamento lineare sull'elemento. Immaginiamo di guardare l'elemento dal fianco :
nodo 1 e nodo 4 allineati, nodo 2 e nodo 3 allineati. Supponiamo di applicare un'azione che vari linearmente a farfalla e vado a fare le risultanti di questo oggetto. Consideriamo che le risultanti delle azioni distribuite vengano posizionate ai 2/3 di ogni lato delle aree di influenza. Però secondo la procedura per cui tutto quello che finisce all'interno dell'area di influenza viene concentrato al nodo, questa risultante viene fittiziamente traslata al nodo ( e se non metto le coppie trasporto dato che stiamo considerando la forma approssimata ) e quando vado ad associare ai nodi estremali le risultanti di queste azioni distribuite ottengo un fittizio incremento della coppia esterna applicata all'elemento. Quindi qualunque moto di rotazione attorno a questo centro vedrà un lavoro delle forze distribuite che ha una certa entità, mentre ci sarà un lavoro delle forze concentrate fittiziamente traslate ai nodi che sarà maggiore.Quindi, energeticamente, questa riduzione da forze distribuite a forze concentrate su aree di influenza non è propriamente corretto, l'errore cala man mano che gli elementi diventano più piccoli perchè cala il braccio.
Tutto questo modello che abbiamo descritto è improprio, perchè?
Considero, ad esempio, una superficie meshata con elementi di entità “ L ” e caricata da una pressione normale o da un qualunque carico distribuito:
Consideriamo il nodo in rosso, tale nodo non avrà solo un'area di influenza ma avrà un'area di influenza su diversi elementi dell'ordine di $L^{2}$ ( in questo caso ). Se io applico una pressione P distribuita, come in figura, su questo nodo finirà una forza pari a “ $L^{2}$ * P ”. Per capire cosa c'è che non va nel modello, consideriamo una modellazione FEM di cuscinetti generici.
Sono delle modellazioni di alberi sostenuti dai cuscinetti, abbiamo due gusci, guscio esterno e guscio interno. Quello interno è calettato sull'albero, quello esterno è incastrato a terra. Tra i due gusci sono state modellati degli elementi truss, ovvero delle travette sottili come in figura.
Questi elementi truss sono sostanzialmente delle aste che lavorano come puntone e tirante ma non trasmettono coppia. Queste travette servono per modellare le sfere, con questa modellazione a travette i cuscinetti possono ruotare, cioè in piccoli spostamenti la superficie esterna può ruotare rispetto alla superficie interna. In questa modellazione si vuole inserire la deformabilità dei gusci, del cuscinetto e delle sfere e questo viene fatto attraverso un'area tarata. C'è un problema, mentre il guscio esterno è incastrato a terra, il guscio interno ha un RBE2 ( una specie di incastro mobile ) che lo collega a un nodo sull'albero. La problematica di questa modellazione è evidenziata attraverso la seguente immagine:
è stato costruito lo stesso modello per tre diversi livelli di raffinamento: grezzo, medio e fine.
Quindi abbiamo preso l'estremo dell'albero e abbiamo applicato all'estremo di esso un carico trasversale uguale per tutti e tre i livelli. Lanciando i calcoli quello che ottengo è la seguente vista laterale che possiamo vedere nella figura sopra. Si vede che i tre alberi visti dal fianco, a fronte della stessa forza in direzione y, hanno tre spostamenti diversi. Si nota che più la mesh si infittisce più la rigidezza di questo assemblato, misurata come rapporto tra forza e spostamento, cala. L'elemento diventa sempre più deformabile man mano che infittisco la mesh. Questo era prevedibile, infatti se guardiamo lo stato tensionale:
si nota dall'analisi della Von Mises che è quasi tutto scarico tranne delle “ bolle ” di tensione enormi nell'intorno dei punti d'attacco dei cuscinetti. Tutto ciò era totalmente prevedibile. Infatti se consideriamo il nodo su cui è agganciato l'elemento asta del cuscinetto:
Se questo elemento asta applica una forza F, la relazione che avevamo trovato tra pressione distribuita sull'area di influenza e forza esterna, diciamo che F = P $L^{2}$ è valida. Se lavoriamo ad F fisso e varia $L^{2}$ , al calare della mesh quel P, che è la pressione equivalente associata a F su quel nodo, cresce proporzionalemtente a 1/$L^{2}$. Quindi se cresce la pressione crescerà anche la Von Mises che sarà a sua volta proprozionale ad 1/$L^{2}$.
Quindi troviamo che lo stato tensionale locale è tanto più elevato quanto piccola la mesh, tale stato tensionale elevato da luogo anche a delle cedevolezze iperlocalizzate :
Quindi questo è u problema di singolarità in cui ci sono forze concentrate su una mesh e anche connessioni fra elementi della struttura che danno luogo a trasferimenti di carico concentrati sui nodi. Quindi sostanzialmente tramite quel meccanismo ad aree di influenza nel correlare ad azioni distribuite ad azioni concentrate si riesce a vedere abbastanza bene la natura singolare di quella che è la forza nodale concentrata sul nodo di uno degli elementi finiti, le tensioni singolari diventano finite solo per via della discretizzazione limitata con cui vengono rappresentati i fenomeni elastici.
Tutte le forze concentrate danno effetto di singolarità? le forze di linea danno effetto di singolarità?
Se utilizzo degli elementi trave, una forza concentrata non genera singolarità perchè questa forza applicata al nodo possiamo immaginarla distribuita su un'area che non svanisce al calare della taglia dell'elemento:
Quest area rimani finita per L che tende a zero. L'area su cui si distribuisce il carico concentrato non cala con la mesh, per cui non c'è il problema di singolarità associato al carico concentrato.
Stessa cosa vale per una struttura a piastre, essa non vede singolarità se applichiamo una distribuzione lineare di forza:
Tale azione distribuita possiamo immaginarla spalmata su un'area che è la linea evidenziata in figura per lo spessore della piastra. Se prendiamo la lunghezza di questo segmento caricato moltiplicato per lo spessore di piastra si ottiene un'area su cui quella forza insiste che non svanisce al diminuire della mesh. Se anche cala la dimensione degli elementi, l'area non si annulla. Quindi carichi di linea non generano singolarità negli elementi piastra.
Invece i carichi di linea generano singolarità se sono applicati su elementi esaedrici o tetraedrici ( elementi di volume ), perchè questi elementi non hanno uno spessore che rimane costante.
I carichi concentrati su piastra danno una singolarità associata alle sole azioni taglianti:
Il carico in figura lo possiamo immaginare spalmato sull'area di influenza in figura. Per equilibrare la forza devo applicare delle τ fuori piano. L'entità di queste τ va a infinto quando l tende a zero. Invece, non fanno cosi le σ entropiano. Quindi se questo è vero per le τxz e τyz, non è vero per le σx, σy e τxy rche rimangono finite per l che tende a zero. La forza concentrata è una fonte di singolarità su queste tensioni fuori piano e può diventare una rigidezza che tende a zero se la piastra è flessotagliante, se invece la piastra è puramente flessionale, anche se le τ fuori piano sono infinite, offre una rigidezza finita ai gradi di libertà nodali (perchè non c'è una deformazione associata al taglio).
MATRICE MASSA
Abbiamo detto che lo spostamento di un punto interno all'elemento è uguale a :
Ora voglio definire l'energia cinetica del materiale proprio dell'elemento :
Adesso definisco il vettore delle velcoità derivando il vettore spostamento :
Mi accorgo che la derivata della matrice S è uguale a zero perchè non dipende dal tempo, per cui posso eliminare il secondo termine della somma a secondo membro. Quindi sostituendo all'interno della relazione dell'energia cinetica trovo che:
$ \dot{d} $e contengono le velocità di traslazione e rotazione ai nodi e sono costanti per quanto riguarda l'elemento per cui possiamo portarli fuori dall'integrale, quindi l'energia cinetica risulta:
la matrice evidenziata è una matrice n * n dove n sono i gradi di libertà dell'elemento ( 24 * 24 ). I termini di quella matrici sono termini massa per cui è buona candidata per essere effettivamente la matrice massa. Tant'è quando si fa la dinamica dei sistemi discretizzati effettivamente viene rappresentata in questo modo :
Per cui quella matrice n * n la definisco matrice massa dell'elemento.
Quella appena effettuata, era la determinazione della matrice massa per via energetica, adesso noi vogliamo definire la matrice massa anche come quell'oggetto che mi trasforma delle accellerazioni nodali in reazioni inerziali Infatti in altri testi, io chiamo matrice massa quell'oggetto che moltiplicato per le accellerazioni ai gradi di libertà del sistema mi da lae forze generalizzate che devo applicare per mantenere quel corpo in quello stato di accelerazione:
Come faccio a sapere che la matrice che definisce l'energia cinetica sia uguale a quella che definisce le forze inerziali?
Considero la variazione dell'energia cinetica nel tempo che è uguale :
Nella derivata il termine che prevede $ \dot{M} $ è nullo perchè la matrice massa non è variabile nel tempo. A questo punto mi accorgo che questi due termini della derivata sono diversi ma sono anche scalari per cui ogni ogni scalare è uguale al trasposto di se stesso. Quindi io ho :
la matrice massa, che è costruita per integrazione di integrandi simmetrici $ S^{T} $ S , è uguale alla sua trasposta per cui i due termini fra parentesi sono uguali. Quindi infine :
Se ci fosse un sistema di forze inerziali:
esso fornisce una potenza, quindi un lavoro per unità di tempo, che è uguale :
Notiamo dunque che la variazione di energia cinetica del sistema è uguale alla potenza di quelle forze esterne che devono mantenere in accellerazione il corpo. Per cui la matrice massa definita per via energetica attraverso l'integrale sul volume è equivalente alla matrice massa che dalle accelerazioni mi da le forze da applicare per mantenere lo stato di accelerazione.
Sezione a cura del docente
modello per visualizzare colonna di matrice S
monoelem_piastra_motielementari.mfd
Singolarità cuscinetto a sfera
Discussione
Note ricevute dal revisore 1.
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Sono presenti errori di battitura, ortografia, frasi malformulate o di difficile lettura (es. eccessivamente lunghe)? Indicare puntualmente le correzioni richieste.
Nessuna correzione da riportare
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Sono presenti tutte le figure mostrate durante la lezione per cui risulta agevole capire quanto scritto nel testo
Riuscirebbe uno studente che non ha seguito la lezione a preparare gli argomenti trattati sulla base di questi appunti? Nel caso di lezioni in laboratorio: sono presenti indicazioni sufficienti per replicare passo passo l'esercitazione? Quali modifiche renderebbero gli appunti più fruibili?
Uno studente che non ha seguito la lezione riuscirebbe a preparare gli argomenti trattati sulla base di questo testo e sono presenti le indicazioni necessarie per utilizzare i modelli didattici proposti in Marc al fine di comprendere meglio gli argomenti trattati Segnalare se si ritiene necessario un intervento diretto del docente, ad esempio nel chiarire un qualche passaggio della trattazione.
…
Varie ed eventuali.
…
Ore dedicate a questa revisione
1h
FINE MODULO DI REVISIONE